Le caratteristiche della paura del giudizio e del senso di colpa
Riconoscere la paura del giudizio
La paura del giudizio può essere più o meno intensa, da un leggero timore a un’ansia paralizzante di vivere una particolare situazione sociale o di eseguire una determinata prestazione che non sia familiare, dalla quale possa derivare un giudizio negativo. Si tratta di un’ansia anticipatoria, ossia di un timore o preoccupazione che si manifesta prima di vivere l’evento temuto: nell’immaginazione si è presi dal dubbio che il contatto con gli altri sarà segnato dal cattivo giudizio su di sé.
Le modificazioni fisiologiche nella paura del giudizio
La paura del giudizio attiva il sistema nervoso Simpatico, che prepara l’organismo all’attacco o alla fuga, come se si fosse in presenza di un predatore che minaccia la nostra vita. Infatti, il nostro organismo ci prepara a reagire a ciò che valutiamo pericoloso così come avveniva agli albori della civiltà umana, non distinguendo tra l’ansia di dare una brutta immagine di sé o la paura di essere sbranato da una belva.
Ecco alcune variazioni corporee indotte dal Sistema Nervoso Simpatico:
- aumento del battito cardiaco
- incremento della frequenza del respiro
- sensazione di contrazione o di maggiore tono muscolare
- bronco dilatazione
- sensazione di stomaco”chiuso” o bruciore di stomaco e mancanza di appetito
- riduzione della secrezione di succhi gastrici e della peristalsi intestinale
- incremento della contrazione degli sfinteri
- bocca e gola secche
- aumento della pressione arteriosa
- dilatazione delle pupille
- aumento dell’attenzione e concentrazione sull’oggetto dell’emozione
Spesso percepiamo solo alcuni dei cambiamenti corporei caratteristici: ad esempio prima un esame temuto, all’idea di presentarsi davanti al docente, si sente battere forte il cuore, sembra che manchi il respiro e si avverte il corpo rigido, teso. Si può avere anche voglia di correre in bagno per un improvviso bisogno di evacuare, o si avverte lo “stomaco chiuso”.
L’ansia sociale ha un’origine genetica limitata al massimo al 50%, intesa come vulnerabilità familiare all’ansia. L’ambiente d’altro canto, risulta determinante per la manifestazione del problema , in dipendenza dal tipo di relazione di accudimento che i genitori instaurano con il bambino a partire dai primi anni di vita.
Genitori iperprotettivi o rifiutanti favorirebbero l’emergere di reazioni eccessive d’ansia nei contesti sociali, in quanto influenzerebbero negativamente l’autostima. La difficoltà che ne consegue ad affermarsi socialmente può indurre emarginazione con la conseguente cronicizzazione del problema.
Riconoscere il senso di colpa
La colpa è l’emozione che nasce dalla valutazione di avere trasgredito una norma interna di condotta, con conseguente diminuzione della stima di sé. Questa emozione si sviluppa nel bambino tra i tre e i sei anni, quando diviene capace di interiorizzare le regole di comportamento e le aspettative dei genitori, con lo sviluppo della capacità di deambulazione autonoma. Quando inizia a camminare, il bambino è molto attento all’allarme e ai rimproveri dei genitori.
La disapprovazione del genitore blocca l’attività motoria del bambino e gli induce uno stato di generico disagio e una sensazione negativa di sé. Così origina l’emozione della vergogna, con il correlato senso di inadeguatezza personale agli occhi dei genitori.
Entro i primi anni della scuola elementare lo sviluppo cognitivo del bambino è tale da metterlo in grado di identificarsi con le norme genitoriali e di assimilarle: la disapprovazione dei genitori non è più necessaria per regolare il comportamento, basta la consapevolezza di trasgredire: così nasce il senso di colpa.
Il senso di colpa è basato su tre componenti cognitive:
- la valutazione negativa del proprio comportamento o anche della sola intenzione
- l’assunzione di responsabilità quando si riconosce di essere stati causa diretta o indiretta di un evento
- l’abbassamento dell’autostima, attraverso la valutazione negativa del proprio comportamento. Inoltre emerge il sentimento di empatia, che induce a mettersi “nei panni” della vittima e comprenderne la sofferenza; con il sentimento di compassione si prova lo stesso dolore che la vittima sta sentendo.
Il falso senso di colpa
Molte volte accade che si creda di essere in colpa, e si avverte un disagio più o meno intenso, ma un’analisi attenta dell’esperienza vissuta non fa emergere un torto o un danno reale. Ciò che è realmente avvenuto è un cambiamento nell’interiorità della persona: il non volere o non potere accondiscendere alle aspettative di una persona importante per noi, genitore, partner, amico, collega, superiore.
In tutti questi casi l’altro manifesta delle aspettative nei nostri confronti – o soltanto le ipotizziamo – ma non c’è stato un accordo esplicito, una promessa o una transazione che ci obbliga a un determinato comportamento o prestazione. Sebbene il disagio possa essere così intenso da farci dubitare riguardo la nostra “innocenza”, non riusciamo a individuare la nostra responsabilità.
Questa particolare emozione di colpa origina dalle aspettative riposte dai genitori nel figlio: in ogni caso in cui il genitore desidera che il figlio corrisponda alla personale idea di come dovrebbe essere, implicitamente o esplicitamente fa delle richieste e pressioni in proposito.
Se il figlio non risulta conforme alle aspettative, il genitore tende a manifestare delusione o mostrare ostilità più o meno esplicita e dispiacere. Così il bambino apprende che se non si adegua al genitore ne causa l’allontanamento affettivo. Subentra allora il timore di essere abbandonato.
Conformarsi al genitore, divenendo un “bravo bambino” sempre compiacente, è una strategia “istintiva”per assicurare il legame d’amore senza il quale il bambino sente di non poter sopravvivere.
Il bambino si colpevolizza ogni qual volta non riesce o si ribella alle aspettative percepite, perché con il senso di colpa recupera il legame col genitore. Così facendo però rinuncia ai propri personali desideri e propensioni.
Naturalmente, nella grande maggioranza delle persone che hanno sperimentato questo tipo di legame, le aspettative dei genitori erano limitate ad alcuni aspetti del comportamento o degli atteggiamenti del bambino.
Per questo motivo capita che di fronte a una persona per noi importante che manifesta determinati comportamenti, o ha certi modi di esprimerci e di rivolgersi a noi, o un particolare modo di guardarci che ci ricordano l’atteggiamento dei genitori nei nostri confronti, scatti in automatico la strategia della compiacenza.
Quando queste problematiche non sono limitate a episodi marginali della vita, bensì sono causa frequente di sofferenza e incidono sulla libertà di scelta, è necessario rivolgersi allo psicoterapeuta per comprenderne il senso, l’origine e poterle superare.
Le modificazioni fisiologiche nel senso di colpa
Il senso di colpa è un’emozione sociale, indotta dalla valutazione negativa del proprio comportamento rispetto alle norme interiorizzate, e ha lo scopo di indurre una riflessione profonda e dolorosa, venata di tristezza per la consapevolezza del danno causato.
Con questa emozione è possibile abbandonare i comportamenti lesivi per gli altri. Le emozioni primarie alla base del senso di colpa sono quindi la tristezza e il dispiacere.
Se il senso di colpa non è associato ad altre emozioni quali la paura del giudizio o delle conseguenze del danno causato, determina modificazioni fisiologiche non molto evidenti, volte indurre la persona a fermare l’attività e a riflettere:
- riduzione del battito cardiaco
- riduzione della frequenza del respiro
- calo della pressione sanguigna
- diminuzione del tono muscolare
- diminuzione della temperatura corporea
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